Lev Tolstoj, il maestro di Mahatma Gandhi

Ok, un pochino ho esagerato.
Di certo Tolstoj ha influenzato Gandhi per quanto riguarda la nonviolenza. I due hanno corrisposto per quasi 20 anni e Gandhi ha tradotto la Lettera ad un Indù di Tolstoj. Forse è troppo dire che Tolstoj fu il maestro di Gandhi, ma di sicuro è stato un uomo tale da meritare qualche parola in più in questo blog confusionario.

Genio assoluto della letteratura, educatore innovativo, profeta del Vangelo e scomunicato, anima inquieta ossessionata dalla fuga.

Sicuramente è la sua incredibile attività di scrittore a rendere il Conte Lev Nikolaevič Tolstoj noto ai più. Guerra e Pace, Anna Karenina, Resurrezione, La sonata a Kreutzer, La morte di Ivan Il’ic, Padre Sergij, Chadzi-Murat, Infanzia-Adolescenza-Giovinezza, sono alcuni dei romanzi, più o meno lunghi, e dei racconti che hanno reso grande la letteratura russa. Epopee più volte prese a prestito dal cinema.

Non è la sua arte, che mi piace tantissimo, a farmi amare Tolstoj. Ad avermi conquistato è stato il suo modo di leggere il Vangelo. La sua spiritualità che non poteva accettare compromessi. E la necessità di vivere nel compromesso tra la sua ricchezza ed la povertà predicata, con la conseguente ossessione per la fuga da tutti i suoi privilegi di Conte, di scrittore e di fondatore di religione.
Una fuga rimandata di giorno in giorno per decenni, per senso di responsabilità e per paura, ma finalmente realizzata a 82 anni, poco prima di morire.

Il suo pensiero nasce dal Vangelo e dall’osservazione delle sofferenze dei contadini russi, contrapposte al lusso sfrenato della corte zarista e della nobiltà moscovita e pietroburghese.
E’ un pensiero di pace universale. Tolstoj cerca di spingere ogni uomo ad ascoltare quella voce interiore che lo porta al bene, al riconoscere gli altri come fratelli e ad amarli e a rifiutare i mille condizionamenti provenienti dall’esterno da una società che spinge solo verso un’autorealizzazione egoistica e vuota.

Il male non può essere affrontato con altro male. Se alla violenza rispondiamo con violenza otterremo solo una violenza doppia. Questi pochi concetti, ripresi dal Vangelo, gridati e ripetuti fino allo sfinimento sono il suo messaggio.
Tolstoj rifiuta una chiesa basata su dogmi e riti ed incapace di rispondere al grido di dolore del popolo russo. Descrive con crudezza ed ironia il clero ortodosso ormai lontano dall’ideale evangelico. Una chiesa alla quale purtroppo molto spesso (per fortuna non sempre) assomiglia anche la mia Chiesa.
La reazione dei metropoliti ortodossi è inevitabile e nel 1901 Tolstoj viene scomunicato.

Ma un uomo ricco non può condividere appieno la sofferenza del popolo, non può essere veramente libero.
E i guadagni dei suoi libri hanno reso Tolstoj immensamente ricco. Così rinuncia a tutti i diritti d’autore (più di un secolo prima delle Creative Commons). Ma solo per quei testi composti dopo la sua “conversione”.
La decisione è frutto di un compromesso con la moglie, che non condivide la dottrina del marito.
Negli anni il conflitto si inasprisce sempre più. Tolstoj soffre per il non poter mettere in pratica completamente quello che va predicando, ma si trattiene, frenato anche dai tentativi di suicidio della contessa.
Fino alla sua leggendaria fuga del 1910. Lev Tolstoj ha risposto al “Vieni e Seguimi” di Gesù.

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