Apolide

Albert Einstein, per un periodo della sua vita, fu apolide, ovvero senza nazionalità.
Non fu solo una protesta contro il regime nazista della sua Germania, ma anche un modo per dichiararsi cittadino del mondo. Quando espatriò negli Stati Uniti gli fu chiesto di dichiarare la sua razza d’appartenenza, la risposta fu “umana“.
Oggi mi sento un po’ come lui.

Anche io vorrei essere cittadino del mondo, perché certe divisioni, certe generalizzazioni che sempre più spesso si sentono in giro mi danno davvero fastidio.

Nei giorni scorsi sono morte alcune decine di persone che hanno tentato di raggiungere l’Italia a bordo di imbarcazioni di fortuna. Noi in Italia pensiamo di fermarli con una legge che definisca l’immigrazione clandestina “reato”. Si, vorremmo fermare persone disperate, disposte a rischiare la propria vita attraversando il mare solo per la speranza di una seconda possibilità, spaventandole con il “reato di immigrazione clandestina”!

Ma perché vogliamo fermare queste persone? Perché le frontiere non sono aperte? Perché un uomo non è uguale all’altro anche se nato in una latitudine diversa? Perché ogni uomo non è libero di vivere nel luogo del mondo che preferisce?

La risposta è semplice: giudichiamo per categorie. Estendiamo il giudizio su una persona a tutte le persone che hanno qualcosa in comune con lui. Un rom ruba, tutti i rom sono ladri. Un extracomunitario spaccia, tutti gli extracomunitari sono spacciatori, e così via.
Torniamo ad Einstein. Lui era ebreo, sebbene non praticante, e fu costretto a fuggire in America. Lo stesso fece Enrico Fermi, che avevo sposato un’ebrea. Proviamo ad immaginare cosa sarebbe successo se i regimi fascista e nazista non avessero perseguitato gli ebrei. Chi avrebbe inventato prima la bomba atomica? Come sarebbe finita la Guerra? Meglio non pensarci.

Ogni uomo ha il diritto di essere giudicato per le proprie azioni. Buone o cattive che siano.

Non è possibile negare che la migrazione crei problemi. Nessuno lascia la propria casa ed i propri affetti se non vive una situazione di disagio. I problemi spesso esistono a monte dell’emigrazione.
Ma adattarsi a regole, abitudini e cultura di un paese lontano e diverso non è facile. Specie se quel paese vive una situazione difficile.
La tentazione del crimine diventa forte. Forse in alcuni casi l’unica rappresenta possibilità di sopravvivenza.

Alcuni giorni fa a teatro ho visto lo spledido Immi-grati? di Antonio Lovascio.
Un monologo emozionante che racconta, senza peli sulla lingua, storie di immigrazione e di crimini tremendi, crudeli.
Consiglio di vedere questo spettacolo, se vi capiterà a tiro, ma vi anticipo il grande insegnamento che mi ha dato.
Ogni storia ha dietro un uomo. Un uomo e basta, un uomo con i suoi pregi ed i suoi difetti, un uomo con la sua storia, che può e deve essere giudicato per quello che fa, nel bene e nel male, non per la latitudine dove è nato.
Un uomo che non può essere inscatolato in uno stereotipo, in un pregiudizio, in una nazionalità.

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