Amrita

Finalmente l’ho finito!

E’ stato quasi un grido di liberazione quello dell’altra sera quando finalmente ho richiuso Amrita di Banana Yoshimoto.
Me lo portava dietro da almeno tre mesi, e devo dire che, a parte Quel 20% in più non ci sono grandi spunti.
Nonostante tutto valeva la pena leggerlo.

Amrita è quasi un diario, il flusso di pensieri di Sakumi, una ragazza di Tokyo.
E’ una vita normale, con gli amici, il lavoro, la famiglia, i lutti, le cose brutte e quelle belle della vita. L’unica cosa che esce dagli schemi sono delle premonizioni del fratellino Yosho, dei poteri mentali che poi troveremo anche in altri personaggi.
Ma questo non stravolge assolutamente la vita di Sakumi, ne fa parte, come l’amore ed il lavoro.

Banana ci guida in un romanzo che potrebbe essere quello di ciascuno di noi, alla ricerca della propria identità e della propria felicità.
Per vivere un romanzo non serve niente di eccezionale. Basta vivere.
La noia del lettore (su IBS molti commentatori condividono la mia esperienza di noia) dimostra come l’esperimento sia fallito. Un peccato.

Nell’ultima pagina, in una nota all’edizione italiana, la stessa Banana ammette che questo è il suo romanzo meno riuscito.
Questo vuol dire che le dovrò dare un’altra possibilità? Non lo so, ma se succederà sarà tra parecchio tempo.
In questi mesi il mio comodino si è riempito di libri da leggere e prima di reimbarcarmi in un’impresa del genere voglio prima sfoltire l’arretrato.
Ora tocca a Cassonetti… non vedo l’ora!

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